DELL’UTILITA' E DEGLI INCONVENIENTI DEL VIVERE FRA GLI SPETTRI
ABOUT USEFULNESS AND DIFFICULTY OF LIVING BETWEEN SPECTRES


intervention on guides / variable dimensions
14 images on photographic paper 40x40 cm
sound installation, 7’06’’ / dialogue with Giuseppe Fossali 2012


What is a spectre made of?
Of signs or, more precisely, signatures, those signs, numbers or monograms that are carved into things by time.
A spectre always brings a date along, that is, an intimately historical being. For that reason old cities are eminent places of signatures, which are read by flaneur almost directly in the course of its drifts and walks; that is why bad restorations, candying and homogenizing European cities, have cancelled their signatures, making them illegible. And that is the reason why cities – and Venice particularly – resemble the [...]

(Giorgio Agamben, Nudita', p.59-65)

The project consists of three parts: intervention on tourist guides, 12 photos printed on photo paper and sound installation.
I started with a research that I have been doing for some time on the relationship between language and image, which brought me to think about the caption. The intervention on the guides consists in deleting what the caption describes from the picture, and this was my starting point.
The gesture is an exercise closely related to the image: the violent action of scratching forces you to focus on the fact that the hand does not create but rather follows a precise line indicated by the caption: when the border is defined, only the exercise exists, a repetitive gesture that makes the thought free.
The photographs are based on a later “vision” I had walking around Venice: the analogy between the emptiness of scaffoldings and the emptiness of cancellation was immediate. After that the sound installation took place: the conversation with Giuseppe is something that fills the emptiness created by the guides and photographs, it is a human presence that is missing in the other two projects and a voice that speaks about images without the images being shown.
The choice of the exhibition space was made when the artist Ryts Monet asked me to exhibit in his studio (atelier) in Carminati: when I visited him, I realized that the view of the city from the above perfectly captured the idea of the project.


Dialogue between Spela Volcic and Lucrezia Calabro Visconti (only Italian):

Lucrezia: Alcuni ambiti della cultura, soprattutto la mistica e la religione, sfruttano ampiamente una modalita' conoscitiva che mi sembra possa applicarsi coerentemente al tuo “trittico”: si tratta della conoscenza per analogia, dove per analogia si intende “non una somiglianza imperfetta di due cose, ma una somiglianza perfetta di due cose del tutto dissimili”
(Kant, Proleg., IV 358; tr. it., 231).
L’analogia, in questo senso, non e' l’uguaglianza di due elementi secondo relazioni quantitative, ma secondo relazioni qualitative, nelle quali il rapporto di somiglianza e' presente, ma viaggia su canali altri rispetto a quelli evidentemente e razionalmente calcolabili. Ho pensato ad una vicinanza con questa modalita' conoscitiva per le difficolta' che spesso trovo nel cercare di descrivere gli elementi che “funzionano” nei tuoi lavori fotografici, difficolta' che si sono riproposte ancora piu' forti nel momento in cui si e' presentato un triplice sforzo.

Spela: Sono d’accordo con l’intuizione che hai avuto. Penso che la vicinanza con queste modalita' nasca dal lasciare assediare le cose, per poi ripensarle e ricollegarle tra loro. in qualche modo averle davanti agli occhi, cercare di trovare collegamenti teorici alle idee visive che mi passano davanti.

In qualche modo queste analogie lavorano l’una all’opposto dell’altra, ma allo stesso tempo combaciano, e spesso non riesco a descriverlo con le parole e mi viene piu' semplice farlo con le immagini o con le situazioni. Ad esempio, se penso all’intervento sulle guide turistiche, che e' stato la prima parte del progetto, mi viene in mente il lavoro di Cage sull’opposizione vuoto/silenzio e pieno/rumore: quando cerca di scoprire il silenzio in una camera anecoica e capisce che il silenzio non esiste, perche' e' il battito del suo stesso cuore a creare rumore. Questo lo collego alla cancellazione e alle impalcature degli edifici, quando sotto il “vuoto” esiste un pieno.

Lucrezia:
Questa lettura di cui parli mi fa pensare a tutte le suggestioni che abbiamo avuto sul tuo lavoro: abbiamo passato molto tempo ad analizzare ogni singolo elemento delle fotografie, relazionandolo ad ogni singolo elemento delle guide turistiche e dell’installazione sonora, chiamando in causa nessi, tassonomie, quadrati logici e connessioni di ogni genere (a partire da Venezia come cadavere che con accanimento continua a venire reimbalsamato, passando dal rapporto tra immagine, vuoto e linguaggio, fino ad arrivare ai legami tra le modalita' operative che hai utilizzato).
Penso che il fatto che il tuo lavoro stimoli cosi' tante diverse relazioni sia uno dei suoi punti di forza piu' grandi, anche perche', nel rapporto col fruitore, pone questo nell’ottica di una sperimentazione e creazione continua di senso, piuttosto che nella situazione di un’interpretazione obbligata di un significato univoco. A proposito di questo, in Millepiani si legge una frase, che riporto interamente perche' sembra quasi rispondere al titolo di Agamben: “Non e' un fantasma, e' un programma: differenza essenziale tra l’interpretazione psicoanalitica del fantasma e la sperimentazione antipsicoanalitica del programma. Tra il fantasma, interpretazione anch’essa da interpretare, e il programma motore di sperimentazione.”

Spela: Si', e la tua interpretazione di Millepiani puo' aprire ad altrettante mille risposte: mi viene in mente la citazione che Agamben utilizza nel testo che ho preso come spunto, quando parla di Ingeborg Bachmann e paragona la cittaì a una lingua: abitare a Venezia, per lui, e' come parlare latino e sillabare una lingua morta... “La lingua morta e', in verita' come Venezia, una lingua spettrale.”

Una cosa di cui penso sia importante parlare e' anche l’ordine in cui si sono susseguiti i diversi momenti del progetto, il processo che da una cosa mi ha portato all’altra: sono partita da una ricerca che da qualche tempo sto facendo sul rapporto tra linguaggio e immagine, che mi ha portata a riflettere sulla didascalia. L’intervento sulle guide consiste infatti nel cancellare dall’immagine cio' che la didascalia descrive, e questo e' stato il mio punto di partenza. Le fotografie sono nate da una “visione” che ho avuto passeggiando per Venezia: l’analogia tra il vuoto delle impalcature e il vuoto della cancellazione e' stata immediata. E’ a questo punto del lavoro che si sono inserite tutte le suggestioni di cui abbiamo parlato prima: il rapporto tra il mio cancellare le immagini e il ricostruire di cui sono segno le impalcature, la violenza della cancellazione e la violenza del cercare di mantenere in vita una citta' morta... Poi e' arrivata l’installazione sonora: il dialogo con Giuseppe e' quel qualcosa che riempie i vuoti creati dalle guide e dalle fotografie, e' la presenza umana che manca negli altri due progetti, ma allo stesso tempo e' una voce, che parla di immagini senza che le immagini vengano mostrate.

Lucrezia: E’ il completamento del lavoro, mi ha fatto pensare al punto di vista di qualcuno che ha vissuto personalmente quello che tu hai percepito attraverso le immagini e hai poi trasmesso a noi. Anche lui in qualche modo personificazione di un’assenza. Vorrei che parlassimo un attimo della scelta del posto e dell’installazione: Palazzo Carminati e' uno dei punti piu' alti della citta', l’abbiamo immaginato come l’ultimo posto a sparire se Venezia affondasse. Mi puoi parlare un po’ delle suggestioni che hai avuto, e delle scelte installative che hai fatto?

Spela: Quando Ryts mi ha proposto di esporre nel suo studio (atelier) ai Carminati, visitandolo ho capito che poteva funzionare, perche' la vista della citta' dall’alto suggerisce perfettamente l’idea del progetto. Ascoltando l’installazione sonora e le storie di Guseppe ho pensato proprio a quello che hai detto tu sul fatto che la voce parla di persone e riempie i vuoti... racconta le storie come se fossero narrazioni di una citta' gia' scomparsa, mentre invece il visitatore, guardando dalla finestra, vede che Venezia c’e', e ci osserva dal basso.

Il gesto e' un esercizio che viene collegato in stretto rapporto con l’immagine e il gesto violento del grattare costringe concentrarsi su fatto che la mano non crea ma segue una linea precisa che viene indicata dalla didascalia, quando il confine viene definito esiste soltanto l’esercizio nel quale la mano non crea percio' il pensiero e libero, ma la gestualita' rimane ripetitiva.

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